Sono del Marocco, di Casablanca, sono venuta in Italia a 25 anni. La mia è una grande famiglia di 12 persone. Mia madre è una sarta lavora a casa. Mio padre lavora in fabbrica. Siamo 8 femmine e 2 maschi, io sono la più piccola. Sono stata una ragazza scuola-casa. Noi non avevamo distrazioni, non parlavamo con i ragazzi, non uscivamo, se vogliamo farlo è di nascosto ai genitori. Ho studiato fino alla prima media poi ho imparato a cucire in un corso professionale e sono diventata sarta. C’era bisogno in famiglia di lavorare. Ho cominciato a lavorare a 18 anni in fabbrica ma sono tornata a casa piangendo. Era un posto terribile. Pensa adesso sono morte tante persone in quella fabbrica perché lavoravano in un seminterrato, con la pioggia è entrata l’acqua e sono annegati tutti.
Da noi la mano d’opera di sartoria costa pochissimo. Le grandi marche italiane vengono da noi e appaltano il lavoro per risparmiare. Arrivavo dalla fabbrica sconvolta, Mia madre un giorno mi ha detto: “Non ti preoccupare, resta a casa. Troviamo qualcosa di meglio.” Ha capito che era troppo duro per me. Lì lavorano come animali, tutti attaccati tra loro, senza luce, senza pause, una cosa terribile. Io ero abituata con la mia famiglia, tranquilla. Anche se siamo poveri, la fabbrica è stato uno shock per me. Mia madre mi ha capito.
Poi a 25 anni mi sono sposata la prima volta. Non lo conoscevo, lui si è presentato ai miei genitori. Loro l’hanno controllato e poi hanno acconsentito. Si erano presentati altri prima di lui, ma lui lavorava in Italia, sembrava più ricco e loro hanno detto di sì. Io piangevo. Lui mi aveva visto per strada mentre portavo il pane a cuocere al forno. Mia madre ha provato a dargli mia sorella più grande, ma lui ha insistito che voleva proprio me. Alla fine mi sono detta: “Vabbè, vado in Italia. Se resto ancora qui magari dopo viene uno peggio di lui.” Così lui viene a casa, parla con me piano piano, aveva 25 anni più di me. Non mi piaceva ma che devo fare, non potevo scegliere.
Comunque venire in Italia mi piaceva. Ci siamo sposati e poi dopo un anno sono venuta. Abitavamo vicino al mare era bello, ma mi sembrava tutto strano. Non parlavo la lingua, camminavo sempre sulla spiaggia da sola, non sapevo che fare. Abitavamo in una casa brutta. Lui lavorava come muratore, ma poi ha perso il lavoro e stava sempre dentro casa, disoccupato quasi sempre. Soldi non ce ne stavano. Io faccio anche il primo e il secondo bambino. Non capisco niente intorno a me: non vado a scuola, non parlo la lingua. Lui era molto geloso. per guadagnare qualcosa andavo a fare le pulizie. Una volta vado a lavorare grazie a una signora brava che mi aveva trovato lavoro in una pizzeria. Ero tutta contenta! Vado a lavorare e quando torno a casa lui mi picchia. Ha iniziato a picchiarmi sempre di più per la gelosia. Una volta mentre mi picchiava mio figlio, quello grande, si è messo sotto il tavolo e non piangeva più: rideva. E lì mi sono spaventata perché ho pensato che mio figlio stava diventando matto. Lui si spaventava tanto quando mio marito mi faceva così. Ma questa signora brava, guarda mi ha aiutato veramente.Llei mi diceva sempre: “Quando lui ti fa male, tu chiamami subito.” Una volta mi ha mandato la polizia a casa anche, perché io non so come fare a parlare. Lei mi ha tanto aiutato. La polizia mi ha detto: “Non uscire da casa, se c’è qualcosa chiama noi.” Noi eravamo con lo sfratto dalla casa popolare. Sono stata felice perché da lì ho potuto andare in casa famiglia con i bambini, questa signora mi ha aiutata. Poi da lì ho fatto il divorzio, tutto e lui se ne è andato. All’inizio lui non voleva lasciarmi. Certo, dove la trova una come me, sempre zitta? Noi non avevamo da mangiare, ma lui non voleva che io lavoravo. Mi picchiava e io zitta. Adesso mio figlio fa 18 anni, lui non ha mai mandato soldi, non ha mai visto i bambini dopo il divorzio. All’inizio non voleva lasciarmi andare, era matto. È andato anche a scuola a prendere i bambini, ma la polizia li ha riportati a casa. Poi lui li vedeva con l’assistente sociale, ma sempre di meno, finchè ha smesso.
Poi io sono partita, ho cambiato città, sono andata dal figlio di mia sorella ospite, lì stavo bene. C’era una signora che faceva la badante da una signora anziana brava. Potevo lasciare i bambini con lei e andare a lavorare. Anche io facevo la badante, pulizie tutto. Ma da me non potevo stare con i bambini allora li lasciavo a lei perché la sua anziana era più accogliente e gentile della mia. Poi ho trovato un altro uomo. Abitavo in questa casa grande del figlio di mia sorella. Lui aveva una stanza con noi: gli piacevo, mi aiutava con i bambini. Noi ci siamo innamorati. Ci siamo sposati e abbiamo fatto altri due bambini. I miei figli grandi fanno le superiori, uno fa la terza media e uno il tecnico. Il pomeriggio vanno al don Bosco, loro studiano lì. In questa zona non li lascio andare. È una zona brutta, ci son molti che vendono la droga per strada. Io non li lascio uscire, c’è prostituzione, spaccio. Io non li lascio uscire qua. Da bambini li ho abituati in casa, da quando sono diventati grandi vanno solo al don Bosco. Qui tutti sono drogati, a volte li vedi, non stanno normali, ti dicono parolacce. Qualche volta, invece, anche quelli che vendono la droga sono bravi. Però tante volte ti parlano male, ti aggrediscono. Comunque qua ci sono anche tante famiglie brave, anche loro occupano. Ma nessuno di noi si trova fuori qui: entri, esci, i figli vanno a scuola, tornano, ti incontri ciao ciao e ognuno a casa sua. Le case popolari sono uguali dappertutto, sai. Anche in centro è così. C’è un po’ di tutto, gente brava e gente cattiva. Le case popolari sono uguali dappertutto, non è che stai tranquillo proprio. I ragazzi è meglio che non escono, io ho sempre paura, ma come fai? Mio figlio di 15 anni, al massimo va a giocare a pallone al parco con gli amici. Quello grande di 18 anni, sto tranquilla, non fuma, non fa niente, grazie a Dio. Ora farà uno stage di lavoro, ma lui vuole continuare a studiare perché è bravo. Io ho detto fai quello che vuoi ma non so come possiamo fare a pagargli gli studi. Intanto io devo fargli prendere la patente di guida. Appena arriva il reddito, lo faccio subito.
Il mio secondo marito lavora al mercato di frutta, lavora tanto. Ha il banco, ma non è suo. Poi è arrivato il corona e abbiamo perso il lavoro tutti e due. Io facevo le pulizie delle stanze in albergo. Uscivo alle 6 di mattina, prendevo 5 euro e 50 l’ora, dalle 9 alle 14. Ma ora è finita, anche il padrone mi ha detto: “non posso fare niente.” Ho preso la disoccupazione ma solo 3 mesi perché non era tanto che lavoravo con loro. Abbiamo preso un po’ di sussidio, ma poco anche quello. Lui, se qualche amico lo chiama, fa qualsiasi cosa: muratore, traslochi, qualsiasi cosa. E’ un problema grande una famiglia di 6 persone senza lavoro.
Devo cercare per fare le pulizie ma ora il bambino esce alle 14 ho poco tempo pure, più di mezza giornata non posso lavorare. Ho anche il lavoro di casa, siamo, in 6. Per fortuna c’è il reddito di cittadinanza altrimenti moriamo di fame. Abbiamo preso i pacchi alimentari qua sul quartiere, la frutta a Santa Rita. Qui poi non paghiamo ancora l’affitto, non abbiamo il contratto. Questa è una casa occupata, erano case dell’ATER. Adesso c’è la legge che devono farci un contratto, ma 600 euro non so come faremo a pagarli quando arriveranno. Siamo tanti qui, italiani, stranieri tutti brave persone, tutti in grande difficoltà. E’ arrivata prima una lettera per pagare una multa, poi un'altra lettera per regolarizzarci, stiamo aspettando. Comunque siamo fortunati in questa occupazione sono tutte brave persone.
Il problema è fuori, che ci sono gli spacciatori, la malavita. Anche se a noi ci riconoscono, non ci toccano, ma è sempre pericoloso. Prima avevamo occupato in un altro posto. Lì è un casino, ci sono persone cattive anche dentro le occupazioni, persone mafiose. Ti vendono le case occupate o te le affittano, poi perdi tutto e magari hai dato migliaia di euro, paghi perché non ti facciano del male, mica è legale. Però se non paghi ti minacciano, sono armati. Nella prima occupazione che ho fatto, la polizia stessa mi ha accompagnato in casa famiglia, mi ha detto: “Signora è troppo pericoloso stare qui sola con i bambini.”
Nessuno voleva affittare casa a mio marito che ha perso il lavoro, quindi siamo finiti in casa famiglia e poi in quest’altra occupazione, più tranquilla. Molte persone hanno perso il lavoro e la casa, certo, come paghi l’affitto con la cassa integrazione? Tutti hanno fatto domanda per il bonus affitto, nessuno lo ha avuto. Anche il bonus per le bollette, non è arrivato niente. Poi la cassa integrazione non arriva come lo stipendio tutti i mesi. Chi viveva già al limite, sai, con il corona è tornato indietro, dopo tanti anni di fatica… Però guarda io nel quartiere non sto male, c’è il parco vicino, non è male. La metropolitana è lontana però puoi prendere l’autobus. Quando lavoravo uscivo prima delle 6 di mattino, che devo fa, va bene. Mi piacerebbe lavorare a casa. Io posso fare oltre la sarta anche la tappezzeria. Una signora mi ha chiesto per la poltrona. In Italia non l’ho mai fatto, in Marocco si. Io so usare anche le macchine da cucire, tutto.
Io spero solo che nel futuro non manca mai qualcosa per i bambini. Qualche volta manca da mangiare quest’anno e io non so come faccio, è difficile. Mio marito ha anche il diabete forte, non può fare un lavoro duro. Una volta è caduto, abbiamo chiesto per l’invalidità ma ora col Covid è tutto fermo, aspettiamo la risposta dell’INPS. A me piace lavorare, posso fare tutti i lavori, anche le pulizie. Quando lavoro io mi sento bene, mi sento un po’ così, schiena dritta, vestirsi, uscire, non stare solo a casa, mi piace, è bello, un'altra vita.
Tornare in Marocco non si può, da noi è peggio. Se non c’è la casa in Marocco uno stipendio arriva al massimo a 500 euro, se sei fortunato. Non puoi pagare un affitto, l’affitto è molto caro e poi la sanità si paga, tante perone stanno male e non possono curarsi. La scuola invece è gratis, si può studiare. Anche una persona povera può diventare un dottore, ma con il resto come fai? Io ora purtroppo non posso lavorare, ho un bambino piccolo, ha 3 anni esce da scuola alle 14.00 ora. È difficile andare a lavorare col lavoro anche di casa, nessuno prende i bambini gratis. Io spero che trova mio marito il lavoro e poi mio figlio l’anno prossimo può fare il tempo pieno. Lui vorrebbe un altro figlio perché vuole una femmina, ma come facciamo. Ho perso un bambino spontaneamente l’anno scorso. Mi piacerebbe certo avere una bambina, ma come si fa, dimmi? Io lo farei per lui, perché lui è bravo con me. Io prima non pensavo di fare altri bambini, due bastano. Ero stanca ma dopo ho pensato per lui e sono venuti gli altri due. Ma ora le cose sono davvero troppo difficili. Lui voleva e così ho fatto, da noi non si pensa ai soldi, facciamo tanti bambini. Io se devo farne ancora, deve essere subito: ho 45 anni, la vita passa! Per me la gravidanza è sempre andata bene e ho fatto il parto cesareo. Però se viene un altro figlio io dopo dico: “Forse è meglio chiudere tutto.” Faccio chiudere dal dottore e via, dopo davvero, davvero basta.
Non posso tornare in Marocco, la mia famiglia lì non ha niente, dove vado. Per vivere mi piace qua, sono abituata a qua. All’inizio mi mancava troppo casa mia, ma ormai la vita mia è passata qua. Tor bella monaca è sempre più tranquilla di Casablanca.
Sono nata in un villaggio in Congo, sono arrivata nella capitale, Kinshasa, per studiare da ragazza. Mi sono laureata, sono un’infermiera. Siamo 5 fratelli, io sono l’unica femmina, sono la seconda. I miei genitori ora non ci sono più. Mio papà lavorava per le assicurazioni e mamma era casalinga, stava a casa con noi. Sono morti l’anno scorso: papà è morto a settembre, mamma a novembre. Papà era malato da 6 anni, era paralizzato e mia madre non ha superato la morte del marito, è andata via anche lei. A Kinshasa vivevo con il fratello di mia mamma, è lui che mi ha pagato gli studi. Quando ho finito di studiare, ho lavorato per due anni in ospedale poi ho trovato un altro lavoro, sono andata a lavorare con i cinesi. Mi hanno preso perché c’era una paziente cinese in ospedale, noi abbiamo fatto amicizia. Lei ha detto: “Vieni a lavorare con noi perché la paga è più alta.” Era una società immobiliare, facevo la segretaria, qualsiasi cosa, ero interprete per la lingua. Mi pagavano molto bene.
Ho conosciuto mio marito per strada. Ci siamo visti a una manifestazione. Lui conosceva una mia amica e lei me lo ha presentato. Ci siamo scambiati i telefoni e fino ad adesso siamo rimasti insieme. Era una festa d’estate come un mercato, c’era musica, da mangiare e lui lavorava lì. Ci siamo innamorati e ci siamo fidanzati. Lui voleva entrare in politica, lavorava pure al Ministero dell’Economia, ma voleva diventare deputato. Nel 2016 c’erano le elezioni del nostro paese e lui voleva candidarsi. Il nostro presidente era un dittatore e ha iniziato a seguire chiunque facesse opposizione e anche mio marito. Nel 2015 c’è stata una manifestazione forte contro il Presidente-dittatore perchè lui era troppo duro.Nnel 2015 c’era molta tensione, era pericoloso: nella manifestazione sono morti in tanti. La polizia sparava, io stavo sicura perché lavoravo con i cinesi e loro ci hanno fatto entrare in un furgone. La polizia, dopo la manifestazione, cercava tutti quelli dell’opposizione per questo un giorno mio marito è andato a lavorare e non è tornato più. Io cercavo dappertutto, non c’erano notizie, niente. Io ero incinta di 3 mesi di mio figlio. Poi ho capito che era stato preso e messo dentro e a casa mia hanno cominciato a venire i soldati. Dormivano davanti casa, si mettevano a controllare chi veniva, chi entrava, chi usciva, volevano capire chi veniva a cercarlo. Poi una notte sono entrati dentro casa, volevano prendere anche me.
Quando sono entrati io dormivo, era mezzanotte. Sono entrati mentre io dormivo con il fratello di mio marito che era venuto a stare con me. Lui li ha sentiti e mi ha detto: “Alzati e nasconditi” e io sono rimasta sotto il letto. Li ha affrontati lui, hanno rotto tutto. Sono entrati e hanno buttato tutto all’aria, non so cosa cercavano. Hanno portato via i gioielli, il mio telefono, tutte le cose preziose, tutto e poi hanno portato via anche il fratello di mio marito. A me non mi hanno visto. Mentre lo portavano via, lui ha urlato nella lingua del nostro villaggio così i soldati non potevano capire e mi ha detto: “Non uscire, resta lì finché non vanno via.” Io avevo un’amica vicina di casa, quando loro vanno via, lei viene da me e mi dice: “Esci, non restare qui, mio marito ti accompagna.” Alle 3.00 di notte, ero sconvolta dico: “Ma dove vado di notte?” ma faccio quello che dice lei. Tu sai che il Congo è diviso in due, ci sono due Congo, divisi da un fiume, quando tu attraversi questo fiume sei dall’altra parte. La mia amica mi ha detto: “Vai con mio marito, lui ti iuta ad attraversare. Tu vai dalla mia famiglia di là.” Così io ho preso un piccolo zaino e sono andata. Abbiamo attraversato il fiume, però anche di là c’erano dei problemi. Il marito della mia amica mi ha dato il suo telefono per comunicare. Lei ha detto: “Io ti aiuto, non voglio che perdi il bambino, salvati la vita poi vediamo.” Ma di là peggio, sono razzisti, mandano via quelli di Congo Kinshasa, allora io la chiamo: “Perché mi hai mandato qui? È ancora peggio!” Lei dice: “Tu non puoi uscire: resta a casa, non fare niente.” Ha parlato con la sua famiglia, ha detto a loro di aiutarmi. Io ero incinta, avevo tanta paura. Pensavo tanto ma non sapevo che fare.
Poi hanno mandato un ragazzo: lui dice che è un commerciante, lui vende import export e porta anche le persone e dice che mi può aiutare per partire, dice: “se hai qualcosa da vendere ti aiuto a uscire.” Ma io non avevo niente, i soldati avevano preso tutto. Avevo solo nello zaino una collana d’oro, ho venduta questa, quasi 200 euro. Era cara, valeva tanti soldi ma lui dice che questi soldi non bastano, ma io dico: “Non ho niente altro. Se vuoi mi aiuti, altrimenti mi lasci qui.” La mia amica mi ha chiamata ancora e mi ha detto che la situazione a casa stava precipitando, che la polizia mi stava cercando anche a me, che erano già entrati più volte e che il ragazzo sarebbe tornato per aiutarmi. Infatti lui torna e dice cha la mia amica ha mandato dei soldi per me. Dice: “Io ti accompagno, ma tu non devi fare domande, non chiedere niente, mi segui e basta.” Io avevo paura, come è possibile così? Non lo so nemmeno dove vado. Comunque vado con lui, cosa potevo fare? Siamo andati in aereoporto, lui aveva comprato tutto anche il biglietto e il visto.
Arrivo all’aeroporto di Roma ma neanche so che sono in Italia. Anche di lui so solo il nome, non so nemmeno il cognome. Arriviamo alle 18.00 del pomeriggio. È la prima volta che viaggio, che vedo un aeroporto. Avevo paura: questo era un altro mondo per me, non capivo niente. Appena scesi dall’aereo andiamo in un ristorante, lui dice: “Mangia, bevi, io intanto vado a prendere dei soldi con la carta di credito per chiamare qualcuno per venire a prenderci. Tu aspettami qui.” Poi paga e esce e così lui è andato via, mi ha lasciato lì e non è più tornato.
Io non so nemmeno che sto in Italia, capisci? Mi fa male questa storia, sto sola nel ristorante fino alle 23.00 finché quelli mi dicono: “Noi dobbiamo chiudere, tu che devi fare, che fai qui? Devi andare via.” Ma io non capisco niente, allora vanno a chiamare un'altra persona africana che era lì. Lui parla inglese, ma io non capisco niente. Parlano tra loro: “Che facciamo noi con questa signora pure incinta? Dobbiamo cercare qualcuno che parla francese.” Trovano un ragazzo che parla francese, lui mi ha chiesto perché sto lì. Io ho cominciato a spiegare a lui e allora lui mi parla dei trafficanti che loro sono così. Quando sento quelle parole io sento molta paura, mi sento molto male. Lui ha detto: “Vieni con me, dormi da me, ma domani ti lascio nella strada. Non posso tenerti a casa mia. Ti aiuto fino a domani, ma domani vai per la tua strada.” Vado da lui. Io non avevo niente, lui non mi da nemmeno una coperta, per dormire per terra sul tappeto. I miei piedi erano tanto gonfi. Poi lui è andato a parlare con una sua amica, ha chiesto aiuto per me. Lei è venuta e mi ha accompagnato a via degli Astalli, dai gesuiti. Loro quando mi hanno visto si sono presi cura, mi hanno portato subito in ospedale con un’ ambulanza. Io non capisco niente, dove io vado non lo so. Quando arrivo dicono che c’ho il diabete gestazionale. Ho fatto due settimane in ospedale ma io non parlo niente, non ho nulla con me, non so dove devo andare quando esco. Poi mi mandano dalle suore di madre Teresa, di là ho trovato un’amica che parla francese: lei è ancora amica mia fino a oggi. Lei mi ha presentato a suo marito e siamo tornati a via Astalli per trovare un centro di accoglienza per me. E loro mi hanno detto di aspettare che partorisco e poi dopo 3 settimane che è nata mia figlia, loro hanno trovato un centro di accoglienza sulla Salaria, padre Arupe e poi una casa famiglia. Lì mi davano tutto: mangiare, quello che mi serve, come a casa. Loro ogni mese ti danno un foglio per andare al mercato e prendi carne, olio, carta igienica, da mangiare per i bambini, tutto quello che ti serve, era un posto bellissimo. Mi hanno dato un telefono. C’era un'altra ragazza del Congo che ora sta in Francia, e così ho cominciato a cercare notizie di mio marito e ho saputo che era uscito di prigione e non aveva trovato più nessuno a casa. Noi per due anni non ci siamo sentiti. Lui sapeva che io ero scappata; sperava che stavo bene con la bambina ma non sapeva niente per due anni, dal 2015 al 2017. Poi finalmente ci siamo ritrovati. Con l’operatrice abbiamo parlato della possibilità per lui di venire qui. Abbiamo parlato con mio marito e abbiamo fatto il foglio per il ricongiungimento familiare perché nel 2016 io avevo ottenuto il permesso come rifugiata politica.
Dopo 7/8 mesi lui è venuto con l’aereo direttamente qui. Io nel frattempo ho lavorato in un campeggio vicino all’Aurelia. Facevo pulizie e poi dopo lavoravo nella casa di una signora a Trastevere, una signora anziana, si chiamava Rosa. Questo prima di lavorare in hotel dove ho il contratto a tempo indeterminato. Con il covid sono in cassa integrazione ma arriva ogni tanto ed è troppo poco, non so come fare. La paga base era 1.079, con gli assegni famigliari arriva avo 1.300 ma adesso arrivo a 600. Che faccio? Solo l’affitto costa 720 euro. Mio marito sta cercando lavoro, ma non trova niente. Mio marito anche è laureato, diritto e economia. È stato 4 mesi in prigione, quando io sono partita. L’hanno picchiato in prigione, il nostro paese è così. Lui quando è uscito ha dovuto lasciare la politica, tutto. È tornato al suo lavoro al Ministero dell’Economia e basta. Lui non sa dove sono io, parlava con la mia amica che mi ha fatto uscire. Lei lo tranquillizzava che ci saremmo ritrovati. Io come asilo politico non posso tornare là al Paese. Mio marito si. Lui è tornato perché il padre stava morendo. Poi per il corona è rimasto bloccato fino ad agosto. Io sono rimasta qui sola incinta un'altra volta. Ormai ne ho 3 di bambini, non posso più stare sola. I miei sono morti, ma io non ho potuto salutarli.
Mia figlia dovrebbe fare due terapie, logopedia e psicomotricità ma all’Inps è tutto fermo, sto aspettando. Alla ASL ci sono persone in lista d’attesa da 3 anni e le visite sono bloccate da un anno, adesso. Ho trovato una logopedista a medicina solidale e la dottoressa dice che forse tra un po’ avranno anche la psicomotricità. Solo un’ora a settimana è poco, lei avrebbe bisogno di molto di più. Forse mi insegneranno come fare a casa, ma lei ha un’energia pazzesca, chi la tiene? Ho bisogno di fargli fare sport, nuoto, qualcosa, ma dove? E’ tutto chiuso. Io la porto al parco, ma come faccio con due bambini, è difficile. Al centro commerciale è chiuso e lì posso andare più in sicurezza, ma con due è impossibile perché lei scappa. Cerco di organizzarmi con le altre donne, ma tutti si stancano di lei, è normale. Lei è molto faticosa, non è gentile con gli altri bambini e poi ci vogliono 100 occhi. Lei può sempre farsi male, continuamente, o fare male agli altri. Non puoi lasciarla un attimo. Io non la lascio mai né di giorno né di notte, io non dormo più. Anche mio marito ha paura di starci con i bambini. Mia figlia con me sta buona, mi sente, ma al papà non lo sente, è come un estraneo. Con il piccolo ci sta un po’ di più, la sera, ma così un'oretta. Lei, sai, è molto intelligente, parla l’inglese e l’italiano, sa i nomi dei colori, gli animali, ma parlare con me, dire: “Mamma voglio acqua, ho bisogno di qualcosa.” no, niente. Solo urla, urla. Lei i bambini li prende, li tira non può parlarci e se non fanno quello che vuole lei, diventa troppo matta, li picchia. Abbiamo cercato di farci fare una diagnosi al TSMREE, per avere la diagnosi per il sostegno a scuola, ma c’era il covid quindi abbiamo mandato dei video della bambina, ma dai video che vuoi capire? La dottoressa ha fatto si un foglio, però non dice molto, per forza. Non sono solo io, tutte le mamme che hanno questi problemi sono come me, ferme, perché tutto è fermo, ma la bambina peggiora tutti i giorni. Se non ci sono soldi rimani così, sola. L’assistente sociale del consultorio mi ha aiutato, ma io ancora non ho l’assistente sociale del Comune.
Sai anche con mio marito non è facile, lui ha vergogna, non vuole che gli altri pensano che sua figlia non è normale. Però ho conosciuto una signora di un’associazione, lei ha una figlia come Ala ed è molto brava, ha un centro per i bambini così. Ma ora è chiuso per il covid. Tutto chiuso, che devi fare se hai un bambino così? Però lei ha parlato con mio marito, gli ha spiegato che nostra figlia può essere aiutata, che può migliorare, che può avere la pensione di invalidità per essere curata e dopo lui ha capito tante cose. In Marocco, se un bambino ha un problema così dicono che è normale, cioè fanno finta di niente, le famiglie li nascondono. Non capiscono, non conoscono. È qualcosa che non si conosce, non sanno come curarli, non è come qui. Ora io non posso tornare al paese perché lì lei non avrebbe nessuno che la cura. E poi per le famiglie in Marocco una bambina così è una vergogna. Anche adesso, io in Marocco non posso dire che mia figlia è autistica, come se è una bimba matta. Per 16 anni quando lavoravo non ho avuto un problema con i figli degli altri e adesso proprio con la mia prima figlia…Ma lei è molto intelligente sai, non è come gli altri, è più intelligente. Io cerco sempre di uscire perché voglio che lei guardi il mondo, voglio che lei impari a stare con gli altri, ma questi bambini, come lei, ti stancano tanto, devi passarci per capirlo. Io vorrei tanto studiare, se non studio come posso fare questa strada con lei? Come faccio a capire le cose che servono per aiutarla? Ma come faccio, lei mi sente sai, se io sono nervosa, lei diventa matta. Non mi posso distrarre. Lei è sempre attaccata a me, quando lei dorme, io faccio le altre cose di casa. Lei non mangia e non dorme a scuola, lei ha bisogno di qualcuno che la segue anche lì, dovrebbe avere il sostegno, ma finchè non abbiamo la 104 non possiamo averlo e ora è tutto fermo. Ma ora si, devo andare dall’assistente sociale del Comune, anche mio marito si è convinto. Sai c’è sempre questa paura che l’assistente sociale dice che non siamo bravi genitori e ce la portano via.
Io non lo so, io penso sempre: forse è colpa mia perché quando ero incinta avevo la pressione alta e lei aveva il cordone intorno al collo, quando è nata. Gli è mancata l’aria, forse per questo è diventata così? Era nera nera quando è nata. Forse è colpa mia se lei è così. Ma io non lo so, nessuno mi spiega mai bene questa cosa. Speriamo che tutto finisce bene perché io sono stanchissima. A scuola non vuole mangiare e non vuole dormire. Mangia e dorme solo con me, nessuno può farla mangiare, tutto il mio tempo è per lei. Ogni giorno c’è qualcosa. Ogni giorno, prendo l’autobus con lei. Non posso richiedere adesso il vaucher per la tessera della metro così spendo i soldi sugli autobus e ogni giorno non ce li ho. Poi devo correre, sempre a correre tutti i giorni. Quando mia figlia sorride il mio cuore si apre, quando lei è arrabbiata anche io sono arrabbiata, io e lei siamo come una cosa sola. Quando sono arrabbiata lei piange, il piccolo piange, la casa scoppia. Dimmi come faccio a non essere mai nervosa? Se faccio le pulizie, se non la guardo lei si arrabbia. Se la lascio 5 minuti lei fa un disastro. Devo tenere le stanze chiuse a chiave o rompe tutto. Io penso sempre al suo futuro, ho paura. Vedo che pian piano lei qualcosa impara, adesso si mette le scarpe da sola, mangia da sola.
Mio marito adesso mi ascolta perché ha capito che la bambina può migliorare. Lui ha un amico che ha il figlio come lei e lo sento che gli da dei consigli. Allora sorrido, sta imparando anche lui. Prima lui diceva che la bambina era normale e che faceva così per colpa mia. Mi ha fatto tanto male, diceva: “Mia figlia è normale, sei te che sei una cattiva madre.” Ma adesso ha capito, adesso sa che se dico qualcosa dico la verità. Io non posso fare niente per me, a me piace studiare. Io volevo fare bene l’italiano, ma come faccio? Anche questo è troppo faticoso, il poco tempo che i bambini sono a scuola, io ho le cose di casa, ma soprattutto ho gli appuntamenti per la bambina. Mi sento vecchia, non ricordo come si fa a farsi belle. Io l'ho detto a mio marito: “Se ti piaccio bene, se no vai da tua mamma.” perché lui mi ha detto: “Fai attenzione alla tua salute, dormi.” Ma quando io dormo chi fa il pane? Chi fa la cena? Chi fa le pulizie di casa? Io sono così, sono sempre stata così. Questo anche prima di avere i bambini, figurati adesso. Gli altri sono sempre stati davanti a me. Tutto è davanti a me, io lascio sempre me indietro. A volte ho avuto paura di crollare, certo, ero troppo nervosa, mi sono sentita male. Ma io non ho bisogno di una psicologa, io ho bisogno di avere un aiuto per mia figlia. Per esempio tanti centri sono fuori Roma, noi non abbiamo la macchina, volevo convalidare la mia patente, ma è tutto bloccato per il covid e quindi niente. Questa malattia sta mangiando la mia vita, tutta la mia vita. Io non sono venuta né per la guerra, né per la fame. In Marocco facevo una vita normale con la mia famiglia, il mio lavoro. Quando mi sono sposata sono stata con mia suocera, non volevamo lasciarla sola ma per due anni non sono rimasta incinta. Allora lui mi ha mandato il documento per il ricongiungimento familiare e mi ha fatto venire in Italia, perché volevamo un bambino. In una settimana ho fatto tutto e sono arrivata, dopo una settimana ero incinta. L’unica cosa buona che ho visto in Italia, ecco. Quando ero incinta è l’unico periodo bello della mia vita in Italia anche se vivevamo nel seminterrato e io avevo problemi di pressione.
Io sono nata a Fez. Mio padre è un soldato in pensione, mia madre lavorava in una città spagnola vicina alla frontiera, è cuoca. Io studiavo giurisprudenza, mi mancavano pochi mesi per finire, ma ho lasciato tutto. In Marocco non c’è lavoro nemmeno per i laureati, così ho trovato un lavoro e ho lasciato. Ho fatto la formazione per lavorare con i bambini piccoli, sono una educatrice di nido. L’ho fatto per 16 anni quel mestiere, sono brava. Adesso faccio l’educatrice per i miei bimbi. Con mio marito ci siamo conosciuti perché lui doveva fare un viaggio in Spagna per trovare sua sorella che vive li, la mia è una città di frontiera. Per strada un uomo berbero mi parla male, parla male delle donne e a me. Nessuno interviene, tutti zitti. Io però ho risposto, l’ho aggredito, gli urlo: “Maleducato, sciò!”Mio marito è passato e mi vede stravolta che urlo e si avvicina: “Che c’è signora?” mi dice e l’uomo scappa. Lui resta con me per tranquillizzarmi. Lui era al porto, ma non aveva il biglietto per la traversata. Ci voleva di aspettare due giorni. Allora io l’ho aiutato tramite mio cognato che lavora al porto e gli ho rimediato il biglietto. E poi mia madre cucina per lui per il viaggio. Lui resta colpito dalla mia gentilezza ma anche io dalla sua. Lui poi parte e quando torna mi telefona subito. Prima parla con me, mi dice: “Vuoi sposarmi?” Io dico no, ma lui in verità mi piace. Dopo una settimana c’è una macchina sotto casa mia, tutta la sua famiglia viene a chiedermi in sposa alla mia famiglia. I miei genitori dicono: “Guarda che è un uomo buono, va bene per te.”e allora io mi convinco. Ci siamo fidanzati, lui era gentilissimo, sai, diverso dagli altri uomini arabi, era tanto generoso. Io vedo tante mie amiche con problemi, io no, lui è sempre bravo con me. Stiamo fidanzati 6 mesi e poi ci sposiamo e io sono felice. Un bellissimo matrimonio: c’erano tutti i bambini del quartiere. Sai io li ho visti crescere tutti, un matrimonio speciale. Le feste marocchine non vogliono i bambini normalmente, ma loro quando sentono che la maestra Samira si sposa, arrivano tutti. Ce li avevo tutti intorno. Dopo il matrimonio lascio il mio lavoro a una ragazza orfana e vado a vivere da mia suocera. Con mia suocera sto bene, cambio a città, vado a Casablanca per stare con lei. Io subito mi trovo bene, le persone del quartiere mi salutano, faccio amicizia. Anche se la città è troppo grande, piena di gente maleducata. Da noi è una città piccola, tradizionale, ci sono donne che non sono mai uscite di casa, sempre con il velo anche sul viso, riservate, ci sono le tradizioni. A Casablanca, invece, c’è un casino. Con mia suocera io però sto bene, la seguo in tutto. Lei mi tratta come una figlia. Mio marito veniva una settimana ogni tanto…. così la vita passa.
Sono arrivata in Italia da sola, mio marito ancora non aveva casa sua e io sono andata da sua sorella per due settimane. All’inizio eravamo nel seminterrato di questo palazzo, poi piano piano abbiamo cambiato, prima al primo piano e adesso siamo al secondo. Sono rimasta incinta subito. La prima gravidanza è stata difficile per la pressione e poi anche il parto è andato malissimo. Il travaglio non andava avanti, mi fanno l’ossitocina, ma niente. Avevo freddo, mi sono bloccata non so il perché, per 8 ore. Stavo come in un altro mondo dal dolore, mio marito ha fatto il video ho visto tutto dopo. Credevo di morire, vedevo i miei nonni... ero convinta che sarei morta. Sentivo il corpo freddo. Troppo dolore. Non ricordo come ho fatto a partorire. Non ricordo nemmeno quando la bambina alla fine è uscita, Mi hanno fatto delle iniezioni, non capivo niente. Il giorno dopo non potevo camminare, non ho potuto sedermi per 3 mesi per il taglio che avevo. Quando siamo usciti dall’ospedale c’era la neve, dico a mio marito: “Prendi la bambina e vai a casa.” Io prendo l’autobus, ci metto 3 ore a arrivare a casa. Poi arrivo e non c’è niente da mangiare, prendo un pezzo di pane e pomodoro.Non so se nella malattia di mia figlia c’entra come è nata, è stato un parto terribile. Da quando è nata io ho testa, cuore, solo per lei. Mio marito me lo dice: “Tu hai in testa solo lei, non pensi ad altro.” Quando penso a lei sento freddo, lui dice: “Basta, devi dormire.” Ma come fa il cuore della mamma quando un figlio ti chiama? Da dove lo prendi l’amore? Io non lo so, davvero. Sento che c’è un problema al mio cuore, batte troppo forte. Tante volte sento un problema per la strada, mi manca il respiro, mi sento svenire, mi devo fermare. Ma poi piano piano mi passa. Io non ho bisogno dello psicologo, io ho bisogno di aiuto per mia figlia.